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8 settembre 2023

CALCIO E NON SOLO: RIAD E LA GEOPOLITICA DELLO SPORT

Dalla Formula 1 al calcio, ma anche sci, cricket e padel: l’Arabia Saudita spende una fortuna in ‘geopolitica dello sport’.

Fino a poco tempo fa, l’Arabia Saudita, il secondo produttore di petrolio al mondo, era noto per le sue spropositate riserve di greggio e come custode della Mecca e Medina, meta ogni anno di milioni di musulmani in pellegrinaggio. Ma negli ultimi anni la casa regnante dei Saud ha intensificato gli sforzi per un rinnovamento dell’immagine del paese – compromessa soprattutto dal pessimo stato dei diritti umani e della condizione femminile – e nel tentativo di ridurre l’eccessiva dipendenza della propria economia dagli idrocarburi. Sforzi e investimenti che attraverso il Public Investment Fund (PIF), uno dei fondi sovrani più ricchi al mondo presieduto dal principe ereditario Mohammed bin Salman (MBS) hanno cominciato ad orientarsi verso i principali sport europei e internazionali, a colpi di contratti milionari per giocatori, tecnici e allenatori. Il primo, nel 2019, fu il pugilato. Poi, a cascata, vennero tutti gli altri: oggi, dal golf alle arti marziali, la Formula 1, il cricket, e persino lo sci - con i Giochi asiatici del 2029 - nulla sfugge al tornado che ha travolto lo sport mondiale e sta portando via - a peso d’oro - molti big dei massimi campionati. La goccia che ha fatto traboccare il vaso però, neanche a dirlo, è stato il calcio. Dopo che Cristiano Ronaldo si è unito all’Al-Nassr di Riad nel dicembre 2022 con un contratto da 200 milioni di dollari a stagione, una serie di altri famosi giocatori lo ha seguito a cifre astronomiche alimentando risentimento e polemiche tra i dirigenti delle leghe, la stampa e persino alcuni giocatori. Il prossimo obiettivo, dicono gli esperti, sarà il tennis, poi chissà.


Nuova Mecca del pallone?

C’è chi giura che il momento in cui tutto è cambiato ha una data precisa: il 22 novembre 2022, quando ai mondiali in Qatar la nazionale saudita ha battuto – contro ogni pronostico – la favoritissima Argentina, che di lì a un mese sarebbe tornata a casa con la coppa del torneo. Da allora la campagna acquisti del PIF nel mondo del calcio ha assunto contorni sempre più aggressivi. CR7 ha aperto la strada e molti l’hanno percorsa: quest’estate, il calciomercato è stato praticamente monopolizzato dalla Saudi Pro League che si è assicurata, a cifre da capogiro, stelle del calibro di Karim Benzema, Neymar Junior, N’Golo Kante, e Kalidou Koulibaly. Dalle principali leghe europee sono arrivati giocatori ancora ai loro massimi livelli, stelle del calcio verso fine carriera e altri, giovani ma di livello inferiore, attirati da stipendi che in passato erano riservati solo alle superstar. E anche per questo la massima serie del campionato sauditada quest’anno passerà a 18 squadre invece delle solite 16. Ma a ben guardare, quella del calciomercato che si è appena conclusa, è stata una stagione folle in cui, in totale, i club del regno hanno speso circa 900 milioni di euro. Una cifra enorme che garantisce ai sauditi la trasmissione delle partite in tutto il mondo con entrate fino a quattro volte superiori rispetto a quelle dello scorso anno. Sì, certo, la Premier League resta il torneo che spende di più al mondo per acquistare nuovi calciatori, ma è ormai chiaro che quello saudita è un fenomeno con cui bisognerà fare i conti.


Dai diritti umani a quelli tv?

Ma perché il Fondo di investimenti Pubblico investe tanto in sport che non appartengono necessariamente alla tradizione saudita? Secondo il settimanale The Economist è parte di una strategia voluta dallo stesso principe ereditario per riposizionare l’immagine della monarchia nel mondo, e guidare una riforma dell’economia che allontani il paese dalla dipendenza dal petrolio. Obiettivo di MBS è anche quello di attrarre nel regno flussi turistici - 100 milioni di visitatori all’anno entro il 2030 - e investimenti dall’estero. Questi sforzi non sono congetture, ma rientrano nel grande piano di bin Salman e dell’Arabia Saudita, noto come ‘Vision 2030’, per modernizzare il paese e le sue abitudini sociali, entro la fine del decennio. Tuttavia, i critici accusano la monarchia di spingere progetti ambiziosi e usare lo sport per ripulire l’immagine del paese dalle accuse di violazione dei diritti umani. Nel 2018, l’Arabia Saudita è stata al centro di uno scandalo internazionale e oggetto di sanzioni statunitensi per l’omicidio del giornalista del Washington Post, Jamal Khashoggi, trucidato mentre si trovava all’interno di un consolato saudita a Istanbul. Un rapporto d’intelligence della CIA nel 2021 ha concluso che bin Salman probabilmente ha autorizzato l’omicidio. E alla lista delle violazioni nel paese si è aggiunto, non più tardi di qualche settimana fa, un rapporto di Human Rights Watch che accusa le forze di sicurezza saudite di aprire il fuoco contro i migranti provenienti dal vicino Yemen in guerra.

Ascolta l'ultima puntata di Globally, il podcast ISPI dedicato alla geopolitica

È lo sport, bellezza?

Molti osservatori ritengono che il ‘tornado saudita’ trasformerà non solo la monarchia ma lo stesso sport globale, con effetti non ancora prevedibili. È possibile che il modello di business della ricca petromonarchia si riveli insostenibile: nel regno lo sport è uno svago sostenuto dallo stato piuttosto che dai singoli imprenditori, con i problemi che ciò può comportare. E se grazie alle sue ingenti risorse l’esperimento non rischia di mandare la casa reale in bancarotta (secondo il rapporto annuale 2021, il tempo libero e l’intrattenimento rappresentano solo l’1,6% degli investimenti del PIF), una combinazione di bassi ricavi e costi elevati potrebbe significare che molte imprese sportive non riuscirebbero a sostenersi o a competere a livello globale senza sussidi. In quel caso il Regno si troverebbe ad affrontare gli stessi problemi calcistici della Cina. Pur costellato di interrogativi, è ormai chiaro però che il progetto portato avanti dalla famiglia reale di Riad abbia aperto un nuovo flusso di mercato. Le cifre offerte ai giocatori – spropositate anche rispetto ai top club europei – e la rapida evoluzione di questa nuova ‘ascesa’ calcistica e sportiva ma anche geopolitica, aprono nuovi scenari. Con buona pace dei critici, i sauditi sono arrivati nello sport attraverso canali legittimi, attratti dagli interessi che ruotano intorno agli affari dello sport. La differenza da domani, con loro in campo, non è che i soldi diventeranno il motore di tutto. Ma che ne serviranno molti di più.



Il commento

di Eleonora Ardemagni, Senior Associate Research Fellow

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“Per l’Arabia Saudita di Mohammed bin Salman, lo sport non è un gioco, ma è uno strumento politico e geopolitico. Sul piano interno, anche i profitti sportivi alimentano il settore non-oil, rafforzando così la diversificazione economica pianificata da Vision 2030. In politica estera, squadre, campioni e tornei sportivi permettono al regno di incrementare soft power e visibilità. Vi sono poi due aspetti spesso sottovalutati da analisti e media. La promozione dello sport, come attività ma anche come divertimento, rientra nelle politiche giovanili: oltre il 60% della popolazione saudita ha meno di 30 anni e il nuovo corso economico necessita, anche in un sistema autoritario, di sostegno popolare. In più, la “geopolitica dello sport” di MbS ´strizza l’occhio` al sentimento nazionale, a tratti nazionalista, che il principe ereditario sta forgiando, depotenziando così l’originaria connotazione religiosa del regno. Gli obiettivi sono dunque d’immagine, ma anche di consolidamento del potere”.

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