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28 agosto 2023

LIBIA: INCONTRI PERICOLOSI

Divampa la protesta in Libia per l’incontro tra la ministra degli Esteri e il suo omologo israeliano. Tripoli smentisce e silura il capo della diplomazia.

Il primo ministro libico Abdul Hamid Dbeibah ha sospeso dal suo incarico la ministra degli Esteri Najla El Mangoush che la settimana scorsa, durante una visita in Italia, si era incontrata “fortuitamente” con Eli Cohen, suo omologo israeliano. La notizia dell’incontro, seppur ufficioso e non programmato – secondo quanto riferito dalla ministra libica – ha innescato violente proteste in diverse città del paese nordafricano. A Tripoli, una folla di manifestanti ha assaltato il ministero degli Esteri e tentato di appiccare il fuoco alla residenza del premier, mentre in altre città gli uffici governativi sono stati circondati ed erette barricate per le strade. Cortei e scioperi hanno interrotto la circolazione del traffico e nuovi disagi sono previsti nelle prossime ore. Nel tentativo di sedare le rivolte, Dbeibah ha annunciato l’apertura di un’investigazione e garantito che il suo Governo di unità nazionale non ha intenzione di avviare un processo di normalizzazione delle relazioni con Israele. La Libia, come diversi stati arabi, non riconosce e non intrattiene nessuna relazione diplomatica con Israele. Secondo una legge del 1957, trattare con lo stato ebraico è un crimine che prevede fino a nove anni di prigione. Storicamente, inoltre, Tripoli è sempre stata in prima linea nel sostenere la causa palestinese e durante gli anni di Muammar Gheddafi i cittadini di fede ebraica sono stati vittime di espropriazioni, le sinagoghe venivano date alle fiamme e molti sono stati costretti a emigrare. L’incidente avviene in un momento diplomaticamente delicato, in cui il governo di Tel Aviv sta portando avanti una politica di accordi e progressiva normalizzazione con diversi paesi arabi e a maggioranza musulmana.

Un incontro programmato?

La notizia dell’incontro, avvenuto la scorsa settimana a Roma, era stata diffusa dallo stesso Cohen che l’aveva definito “un primo, storico passo” verso la ripresa delle relazioni diplomatiche. Fonti anonime avevano inoltre riferito all’agenzia di stampa Reuters che l’incontro era stato concordato in anticipo e “ai massimi livelli” in Libia, ed era durato più di due ore. Nel corso della loro conversazione, i due ministri avrebbero parlato del finanziamento israeliano ad alcuni progetti umanitari, di agricoltura, gestione dell’acqua e dell’importanza di preservare il patrimonio ebraico in Libia, comprese sinagoghe e cimiteri. Dettagli che hanno alimentato lo scandalo nonostante le smentite del ministero degli Esteri di Tripoli che ha definito il faccia a faccia “un incontro casuale e non programmato durante un incontro al ministero degli Affari esteri italiano”. Una sconfessione che non è bastata a placare lo sdegno di un’opinione pubblica fortemente anti-israeliana. Domenica sera il Consiglio presidenziale della Libia – un organismo che svolge le funzioni di capo di stato ed è responsabile dell’esercito – ha chiesto “chiarimenti” al governo su quanto accaduto, affermando che l’incontro tra i due ministri “non riflette la politica estera dello Stato libico, non rappresenta le costanti nazionali ed è considerato una violazione delle leggi libiche che criminalizzano la normalizzazione con l’entità sionista”. Nella giornata di lunedì, il ministero degli Esteri israeliano ha parzialmente corretto il tiro, precisando di non essere dietro la “fuga di notizie” sull’incontro “contrariamente a quanto pubblicato” sui media internazionali.

Sulla scia di Abramo?

A partire dal 2020, sulla scia dei cosiddetti ‘Accordi di Abramo’ favoriti dal governo americano, Israele ha normalizzato le relazioni con diversi paesi arabi, tra cui Emirati Arabi Uniti, Bahrain, Marocco e Sudan ed è impegnato in colloqui che potrebbero portare nei prossimi mesi ad un’intesa storica con l’Arabia Saudita. Ciononostante, gli accordi sono malvisti dalla maggior parte delle opinioni pubbliche arabe, che vedono il governo di cui Cohen fa parte in modo ancora più negativo rispetto ai precedenti, in quanto basato su una maggioranza che include partiti dell’estrema destra religiosa, portatori di una linea radicale e violenta nei confronti dei palestinesi. L’esecutivo, guidato da Benjamin Netanyahu, è inoltre bersagliato dalle critiche per aver incentivato la costruzione di insediamenti e colonie in Cisgiordania, innescando un nuovo ciclo di violenze. Per questo le parole di Cohen, che avrebbero presumibilmente messo in difficoltà il governo libico, hanno sollevato critiche anche da parte dell’opposizione israeliana. “I paesi del mondo questa mattina guardano alla fuga irresponsabile delle notizie riguardo l’incontro dei ministri degli Esteri israeliano e libico e si chiedono: è possibile gestire le relazioni estere con questo paese? È possibile avere fiducia in questo paese?”, ha dichiarato Yair Lapid, ex premier israeliano oggi all’opposizione, criticando Cohen per aver reso pubblici i dettagli dell’incontro.

USA spingono per una normalizzazione?

D’altronde, che qualcosa nella versione libica dei fatti non tornasse, era ormai chiaro. Difficilmente un incontro a livello di ministri degli Esteri avviene senza una precisa indicazione da parte dei vertici di governo e il fatto che fosse avvenuto a Roma lascia intendere che il colloquio dovesse rimanere segreto. Mentre intorno alla vicenda le proteste montano e si susseguono voci – smentite dai servizi di sicurezza libici – che la ministra El Mangoush abbia riparato in Turchia per sfuggire a possibili rappresaglie, la Farnesina non conferma né smentisce l’avvenuto incontro. Intanto, funzionari del governo libico riferiscono al Washington Post che la normalizzazione delle relazioni tra Libia e Israele sarebbe stata discussa per la prima volta in un incontro tra Dbeibah e il direttore della CIA William Burns, che ha visitato la capitale libica a gennaio. Secondo le fonti, Burns avrebbe proposto che il governo libico si unisse al gruppo di quattro paesi arabi che hanno normalizzato le relazioni con Israele nell’ambito degli accordi di Abramo mediati dagli Stati Uniti nel 2020. Il premier libico avrebbe dato un accordo iniziale, poiché il suo governo ne avrebbe tratto notevole prestigio internazionale, ma era preoccupato per la reazione dell’opinione pubblica in un paese noto per il suo sostegno alla causa palestinese.

Il commento

di Federica Saini Fasanotti, ISPI Senior Associate Research Fellow

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“Ciò che è successo nelle ultime ore non lascia adito a dubbi riguardo al caos che regna a Tripoli. Risulta infatti molto peculiare che un ministro degli Esteri possa recarsi in un paese straniero per un incontro delicatissimo senza che il capo del governo ne sia al corrente. Soprattutto quando la controparte in questione è Israele, con cui storicamente la Libia ha avuto, durante il regime gheddafiano, rapporti estremamente complessi.  Sembra piuttosto che le cose siano sfuggite di mano e che, preso di sorpresa, Dbeibah abbia deciso di sacrificare la pedina più debole, Najla El Mangoush, spedendola in Turchia per calmare la piazza, da tempo ormai sotto il controllo di milizie organizzate in veri e propri cartelli criminali”.

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