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25 luglio 2023

ISRAELE, AVANZA FRA PROTESTE LA RIFORMA GIUDIZIARIA

Il governo di Netanyahu toglie alla Corte Suprema la facoltà di bloccare le decisioni dell’esecutivo giudicate “irragionevoli”. Migliaia scendono in piazza per protesta.

“Un passaggio democratico necessario per ricalibrare l’equilibrio fra i vari rami dello stato.” Così il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha giustificato in diretta TV l’approvazione di una legge che toglie alla Corte Suprema la possibilità di opporsi alle decisioni del governo giudicate “irragionevoli”. Ma a Gerusalemme è presto divampata la protesta, con migliaia di manifestanti a bloccarne le strade. La tensione è rimasta alta per ore, con un automobilista che si è lanciato contro una folla di dissidenti (ferendone tre fortunatamente solo in modo lieve) e la polizia che ha cercato di disperdere gli assembramenti con i cannoni ad acqua. Al termine della giornata, almeno 34 persone sono state arrestate. La legge costituisce un pezzo centrale della riforma della giustizia, contro cui una porzione consistente della società israeliana sta scendendo in piazza da 29 settimane. Proteste che, nonostante l’appello del Presidente Isaac Herzog a governo e opposizione per raggiungere un accordo condiviso, non sembrano destinate a placarsi. “Sento che sarà un lunga ed estenuante lotta…non certo un ko,” ha raccontato un manifestante al quotidiano israeliano progressista Haaretz.

I limiti della ragionevolezza?

La nuova legge è stata approvata ieri mattina con 64 voti a favore contro nessuno contrario, dato che l’opposizione ha scelto di lasciare l’aula in segno di protesta. La norma ruota attorno al concetto di “ragionevolezza”, grazie al quale era consentito alla Corte Suprema bloccare alcune decisioni del governo, ed è parte di un ambizioso pacchetto di riforma della giustizia presentata dal ministro della Giustizia Yariv Levin a gennaio. Secondo l’Israel Democracy Institute, il disegno di Levin indebolirebbe significativamente il sistema giudiziario del Paese, dando un potere quasi illimitato all’esecutivo. I sostenitori sono invece convinti che sia necessario riportare nei ranghi il potere giudiziario, ormai completamente inaffidabile e troppo forte rispetto all'esecutivo. Ma il tema della “ragionevolezza” è entrato drammaticamente nell'attualità a gennaio, dopo che l’Alta Corte di Giustizia ha impedito ad Aryeh Deri, leader del partito ultraortodosso Shas, di ricoprire il ruolo di ministro della Salute e dell’Interno, a causa di una condanna per evasione fiscale, corruzione, tangenti e frode. La sua nomina è stata così ritenuta “estremamente irragionevole”, una decisione che ha messo alle strette Netanyahu, costringendolo a negare l’incarico a uno dei suoi più fedeli e potenti alleati. Secondo l’analista Amir Fuchs dell’Israel Democracy Institute, la norma stabiliva un bilanciamento fra gli interessi pubblici e quelli politici: una decisione veniva dunque giudicata irragionevole se si “focalizzava in maniera sproporzionata sull’interesse politico senza prendere in sufficiente considerazione quello pubblico.” L’opposizione ha già però fatto sapere che chiederà alla stessa Corte di pronunciarsi sulla legalità del provvedimento, aprendo quindi di fatto la porta a una potenziale crisi istituzionale.

ll trionfo della destra nazionalista?

Se è vero che l’attuale esecutivo è il più nazionalista e conservatore della storia del paese, quest’ultimo colpo di mano potrebbe però rivelarsi anche il sintomo della debolezza di Netanyahu nel tenere insieme una coalizione sempre più litigiosa. Una situazione in cui “le posizioni dei partner di governo sembrano radicalizzarsi ogni giorno di più,” scrive Anna Maria Bagaini della Hebrew University di Gerusalemme. Il ministro della Sicurezza nazionale Ben-Gvir non ha nascosto la propria esultanza di fronte ai giornalisti: per lui, “da oggi, Israele sarà un po’ più democratico, un po’ più ebreo, e saremo in grado di fare di più nei nostri uffici”. D’altronde, Ben-Gvir rappresenta l’emblema dello spostamento a destra del governo Netanyahu: dopo anni ai margini del sistema politico a causa delle sue idee estreme, il suo partito, Potere Ebraico, è diventato un pilastro fondamentale dell’attuale esecutivo. Tanto da minacciarlo di ritirare il proprio sostegno alla passata legge di bilancio, costringendo Netanyahu a concedere un budget per le istituzioni ultraortodosse di 3,4 miliardi di euro all’anno e una disposizione di 62 milioni di euro nel 2024 per incrementare le risorse a disposizione del ministero dello Sviluppo del Negev e della Galilea. La concessione di queste richieste ha gonfiato il bilancio (che ha un tetto obbligatorio di circa 249 miliardi di euro), provocando aspre critiche sui fondi stanziati per finanziare i progetti degli alleati di governo.


   

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Scontro di civiltà?

Ed è proprio l’espansione dell’influenza di partiti come Potere Ebraico o Giudaismo unito della Torah a sollevare le preoccupazioni degli israeliani più secolari. “Ho davvero la sensazione che ci stiano saccheggiando, come se il Paese fosse alla loro mercé e ogni cosa è lì per essere presa,” ha raccontato al New York Times Mira Lapidot, una curatrice museale di Tel Aviv. Per Yedidia Stern, un professore di legge coinvolto nel tentativo di raggiungere un compromesso con l’opposizione sulla legge appena approvata, il conflitto attorno alla riforma della giustizia è “il simbolo di una manifestazione o di una enorme mancanza di fiducia fra le diverse parti della società israeliana.” Stern ha descritto il proprio Paese al New York Times come una coabitazione di quattro componenti maggioritarie: i nazionalisti religiosi, gli ebrei ultraortodossi, gli ebrei secolari e gli arabi. Con l’attuale esecutivo, le prime due componenti sono al potere, mentre “gli israeliani liberali e secolari hanno la percezione che l’equilibrio che avevamo stia venendo scosso.” E anche i Paesi storicamente più vicini ad Israele guardano a questo processo con una certa preoccupazione: alcune ore dopo l’approvazione della legge, il presidente statunitense Joe Biden ha rilasciato un breve commento, giudicando “sfortunata” tale decisione e sottolineando come la sua amministrazione sia convinta che i cambi di questa portata debbano essere raggiunti attraverso un maggior “consenso”.

Il commento 

di Mattia Serra, ISPI MENA Centre

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Il voto della Knesset di ieri segna un importante punto di svolta per Israele e per il processo di revisione del sistema giudiziario portato avanti dal governo Netanyahu. La cancellazione della clausola di ragionevolezza – uno dei punti più discussi della riforma – offre infatti nuove opportunità all’esecutivo. Tra queste il reintegro al suo incarico ministeriale di Aryeh Deri, leader del partito religioso Shas, così come l’approvazione di una nuova legge fondamentale che garantirebbe l’esenzione al servizio militare per gli ultraortodossi. Se il voto dimostra che il tavolo di trattative aperto a marzo con l’opposizione era destinato a fallire, l’immagine che resta è quella di un governo che procede imperterrito sulla strada di una riforma che sta lacerando il tessuto sociale e cambiando profondamente l’assetto istituzionale del Paese.

ISPI - Istituto per gli Studi di Politica Internazionale

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