Print Icon
 
https://campaign-image.eu/zohocampaigns/28716000285936042_zc_v16_header_dailybrief2020.jpg

19 dicembre 2022

CINA: RITORNO AL PASSATO

L’allentamento della strategia ‘zero covid’ fa aumentare i contagi. Ma è caos sui dati e a Pechino metà della popolazione sarebbe contagiata.

https://campaign-image.eu/zohocampaigns/28716000285936042_zc_v15_1607364483186_boris_johnson_lp_11900196_large.jpg

Sembra di rivedere scene che credevamo esserci lasciati alle spalle. Le immagini in arrivo dalla Cina – gli scaffali dei supermercati vuoti e le strade deserte – testimoniano la rapida ascesa dei contagi nel paese asiatico che si avvia a gran velocità verso un picco di infezioni mai visto prima d’ora. È il risultato, prevedibile, della decisione del governo di allentare, dopo tre anni di restrizioni e tracciamenti, la strategia ‘zero covid’, complici settimane di proteste senza precedenti nel paese. La capitale Pechino sarebbe la più colpita: le stime in circolazione parlano di metà della popolazione – 22 milioni di abitanti – contagiata, e l’altra metà chiusa in casa per timore di ammalarsi. Ma anche altrove la situazione appare complessa: le autorità di Shangai hanno ordinato la chiusura della maggior parte delle sue scuole con l’obbligo per gli studenti di seguire le lezioni online. Intanto, anche per l’impossibilità di tenere i conti, il governo ha sospeso i test di massa facendo saltare le strategie di tracciamento. Nella giornata di sabato le autorità confermavano poco più di 2mila contagi, un numero molto basso, e dal 4 dicembre sono stati segnalati due decessi: cifre che gli esperti definiscono poco credibili e in contrasto con le testimonianze provenienti dalle città cinesi.

Zero Covid, addio?

Dall’inizio della pandemia, la politica ‘zero covid’, fatta di restrizioni e quarantene, ha tenuto molti cinesi al riparo dal contatto con il virus. Ma oggi – a tre anni dall’inizio del contagio – molti degli 1,4 miliardi di cinesi rimangono vulnerabili al virus anche a causa dei bassi tassi di vaccinazione e degli scarsi investimenti nelle cure di emergenza. In più, i vaccini Sinova e Sinofarm si sono dimostrati meno efficaci di quelli Pfizer e Biontech. Ciononostante, finora Pechino non ha ancora approvato alcun vaccino straniero. Secondo diversi modelli di calcolo, se l’epidemia si diffondesse con la rapidità a cui le nuove varianti ci hanno abituato, in Cina nei prossimi mesi non è azzardato ipotizzare che ci saranno circa 1 milione di morti per il coronavirus. Un dato impressionante che riferito alla popolazione rappresenta però “solo” lo 0,07%: quattro volte meno dei decessi per Covid registrati in Italia da inizio pandemia. Ma anche quattro volte meno dei 4 milioni di decessi per Coronavirus registrati, per esempio, in India. Resta tuttavia un numero indigesto per un governo che per anni si è vantato della sua gestione esemplare della pandemia. 

   

Non perderti il Mondo in Tasca di oggi

   

Rallenta la produzione?

“Comunque la si veda, i prossimi mesi saranno piuttosto impegnativi per la Cina”: intervistato dal Washington Post il direttore dell'IHME Christopher Murray osserva che “in questo momento le popolazioni a maggior rischio nel mondo sono quelle che hanno evitato la trasmissione e hanno lacune nella vaccinazione. Ed è esattamente il caso della Cina”. Una situazione che non ha tardato a riverberarsi anche sull’economia: il rischio è la chiusura di alcune linee di produzione e ulteriori pressioni sulle catene del valore globale, già in difficoltà a causa della pandemia e della guerra. Le aziende cinesi che operano nei servizi stanno optando per il lavoro da casa, una misura che però appare più complicata se non impossibile nelle fabbriche. Come se non bastasse, in questa nuova fase – scrive il Financial Times – le aziende, che finora avevano seguito rigide linee guida, non hanno indicazioni su come gestire l’improvvisa ondata di contagi”. E un dirigente di uno stabilimento di assemblaggio di automobili nella provincia settentrionale di Hebei ha affermato che il suo gruppo intende ripristinare il sistema a “circuito chiuso”, in base al quale il personale vive e lavora in loco, isolata dal resto del mondo, al fine di mantenere la produzione evitando di contrarre il virus. “Altrimenti – ha ammesso – rimarremo senza lavoratori”.

La scommessa di Xi?

La repentina inversione a ‘U’ del governo cinese, secondo Le Monde, avrebbe due ragioni principali che il governo di Pechino non può ammettere. La prima è che la variante Omicron, ad altissima capacità di contagio, rende superflua ogni misura di contenimento. La seconda riguarda invece la tenuta della società cinese: nel paese la popolazione aveva cominciato ad esprimere la propria “frustrazione”, come aveva ammesso stesso presidente Xi Jinping, durante il suo incontro con il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, lo scorso 1° dicembre. Due campanelli d’allarme, davanti ai quali il Partito comunista avrebbe deciso che la strategia ‘zero covid’ non poteva più funzionare. Per questo Pechino ha optato per un cambio di rotta non privo di azzardi: riapertura, picco di contagi e rapida ripresa. Una sfida in cui la tempistica gioca un ruolo fondamentale: se l’ondata di contagi sarà rapida e limitata nel tempo, i consumi e l’occupazione riprenderanno, Xi Jinping avrà vinto la sua scommessa. Se, invece, l'immunità di gregge tarderà a produrre i suoi effetti, le città continueranno a praticare una sorta di ‘stop and go’ sanitario e il numero dei decessi aumenterà troppo vertiginosamente per essere nascosto, la popolazione cinese non lo dimenticherà facilmente. “Il 26 gennaio 2020, alla vigilia del capodanno lunare e tre giorni dopo l'inizio del confinamento di Wuhan, “Xi Jinping disse di non essere riuscito a dormire – ricorda Frédéric Lemaître da Pechino – Tre anni dopo, non è impossibile che leader cinese si trovi ad affrontare lo stesso tipo di insonnia”.

IL COMMENTO

di Filippo Fasulo, Co-Head Osservatorio geoeconomia ISPI

https://campaign-image.eu/zohocampaigns/28716000286095777_zc_v16_1671466650931_28716000265505113_zc_v3_1637944316152_quote2_(1).png

"Se lasciare la Cina chiusa per quasi tre anni ha danneggiato l’economia cinese fino alla revisione dei protocolli medici per l’esasperazione della popolazione, la riapertura improvvisa non solo sta presentando il suo conto in termini sanitari, ma la stessa economia potrebbe risultarne ancora danneggiata. Shanghai sembra nuovamente in un lockdown autoimposto dai cittadini che vogliono evitare un contagio scampato fino ad ora. I dati economici, negativi a novembre, prevedono un peggioramento a dicembre per lo stop alla produzione imposto dall’alto numero di contagi, ma è possibile che, dopo un picco nelle prossime settimane, in primavera i consumi possano riprendere a crescere. Prima di primavera sarà però difficile fare una corretta valutazione dei costi economici e sociali dell’ondata attualmente in corso.“

ISPI - Istituto per gli Studi di Politica Internazionale

Iscriviti alla Newsletter Daily Focus

Facebook
Twitter
LinkedIn
YouTube
Instagram

Via Clerici, 5 - 20121 Milano

Tel.: +39 (0)2 86 33 131

ispi.segreteria@ispionline.it