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L’allentamento
della strategia ‘zero covid’ fa aumentare i contagi. Ma è caos sui dati e a
Pechino metà della popolazione sarebbe contagiata.
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Sembra
di rivedere scene che credevamo esserci lasciati alle spalle. Le immagini in
arrivo dalla Cina – gli scaffali dei supermercati
vuoti e le strade deserte – testimoniano la rapida ascesa dei contagi nel paese asiatico che
si avvia a gran velocità verso un picco
di infezioni mai visto prima d’ora. È il risultato, prevedibile, della
decisione del governo di allentare, dopo tre anni di restrizioni e
tracciamenti, la strategia ‘zero covid’, complici settimane di proteste senza precedenti nel paese.
La capitale Pechino sarebbe la più colpita: le stime in circolazione parlano di
metà della popolazione – 22 milioni
di abitanti – contagiata, e l’altra metà chiusa in casa per timore di
ammalarsi. Ma anche altrove la situazione appare complessa: le autorità di Shangai
hanno ordinato la chiusura della maggior parte delle sue scuole con
l’obbligo per gli studenti di seguire le lezioni online. Intanto, anche
per l’impossibilità di tenere i conti, il governo ha sospeso i test di massa facendo saltare le strategie
di tracciamento. Nella
giornata di sabato le autorità confermavano poco più di 2mila contagi, un
numero molto basso, e dal 4 dicembre sono stati segnalati due decessi: cifre che gli esperti definiscono poco
credibili e in
contrasto con le testimonianze provenienti dalle città cinesi.
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Dall’inizio
della pandemia, la politica ‘zero covid’, fatta di restrizioni e
quarantene, ha tenuto molti cinesi al riparo dal contatto con il virus. Ma oggi
– a tre anni dall’inizio del contagio – molti degli 1,4 miliardi di cinesi
rimangono vulnerabili al virus anche a causa dei bassi tassi di vaccinazione e degli scarsi investimenti nelle cure di emergenza. In più, i vaccini
Sinova e Sinofarm si sono dimostrati meno efficaci di quelli Pfizer e Biontech.
Ciononostante, finora Pechino non ha ancora approvato alcun
vaccino straniero.
Secondo diversi modelli di calcolo, se l’epidemia si diffondesse con la
rapidità a cui le nuove varianti ci
hanno abituato, in Cina nei prossimi mesi non è azzardato ipotizzare che ci
saranno circa 1 milione di morti per il coronavirus. Un dato impressionante che riferito alla
popolazione rappresenta però “solo” lo 0,07%: quattro volte
meno dei decessi per Covid registrati in Italia da inizio pandemia. Ma anche
quattro volte meno dei 4
milioni di decessi per Coronavirus registrati, per esempio, in India.
Resta tuttavia un numero indigesto per un governo che per anni si è vantato
della sua gestione esemplare
della pandemia.
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“Comunque la si veda, i prossimi mesi saranno piuttosto
impegnativi per la Cina”: intervistato dal Washington Post il direttore dell'IHME
Christopher Murray osserva che “in questo momento le popolazioni a maggior rischio
nel mondo sono quelle che hanno evitato la trasmissione e hanno lacune nella
vaccinazione. Ed è esattamente il caso
della Cina”. Una situazione che non ha tardato a riverberarsi anche sull’economia: il rischio è la
chiusura di alcune linee di produzione e ulteriori pressioni sulle catene del valore globale,
già in difficoltà a causa della pandemia e della guerra. Le aziende cinesi che operano nei
servizi stanno optando per il lavoro da
casa, una misura
che però appare più complicata se non impossibile nelle fabbriche. Come se non
bastasse, in
questa nuova fase – scrive il Financial
Times – le aziende,
che finora avevano seguito rigide linee guida, non hanno indicazioni su come gestire l’improvvisa ondata di contagi”. E un
dirigente di uno stabilimento di assemblaggio di automobili nella provincia
settentrionale di Hebei ha affermato che il suo gruppo intende ripristinare il sistema a “circuito chiuso”, in base
al quale il personale vive e lavora in loco, isolata dal resto del mondo, al
fine di mantenere la produzione evitando di contrarre il virus. “Altrimenti – ha
ammesso – rimarremo senza lavoratori”.
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La repentina inversione a
‘U’ del governo cinese, secondo Le Monde, avrebbe due
ragioni principali che il governo di Pechino non può ammettere. La prima è che
la variante Omicron, ad altissima capacità di contagio, rende superflua ogni misura di contenimento. La seconda riguarda invece
la tenuta della società cinese: nel paese la popolazione aveva cominciato ad
esprimere la propria “frustrazione”,
come aveva ammesso stesso
presidente Xi Jinping, durante il suo incontro con il presidente del Consiglio
europeo, Charles Michel, lo scorso 1° dicembre. Due campanelli d’allarme,
davanti ai quali il Partito comunista avrebbe deciso che la strategia ‘zero covid’
non poteva più funzionare. Per
questo Pechino ha optato per un cambio di rotta non privo di azzardi: riapertura,
picco di contagi e rapida ripresa. Una sfida in cui la tempistica gioca un
ruolo fondamentale: se l’ondata di contagi sarà rapida e limitata nel tempo, i
consumi e l’occupazione
riprenderanno, Xi Jinping avrà vinto la
sua scommessa. Se, invece, l'immunità di gregge tarderà a produrre i suoi
effetti, le città continueranno a praticare una sorta di ‘stop and go’ sanitario e il numero dei decessi
aumenterà troppo vertiginosamente per essere nascosto, la popolazione cinese non
lo dimenticherà facilmente. “Il 26 gennaio 2020, alla vigilia del capodanno
lunare e tre giorni dopo l'inizio del confinamento di Wuhan, “Xi Jinping disse
di non essere riuscito a dormire – ricorda Frédéric Lemaître da Pechino – Tre anni dopo, non
è impossibile che leader cinese si trovi ad affrontare lo stesso tipo di
insonnia”.
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IL COMMENTO di Filippo Fasulo,
Co-Head Osservatorio geoeconomia ISPI
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"Se lasciare la Cina chiusa per quasi tre anni ha danneggiato l’economia cinese fino alla revisione dei protocolli medici per l’esasperazione della popolazione, la riapertura improvvisa non solo sta presentando il suo conto in termini sanitari, ma la stessa economia potrebbe risultarne ancora danneggiata. Shanghai sembra nuovamente in un lockdown autoimposto dai cittadini che vogliono evitare un contagio scampato fino ad ora. I dati economici, negativi a novembre, prevedono un peggioramento a dicembre per lo stop alla produzione imposto dall’alto numero di contagi, ma è possibile che, dopo un picco nelle prossime settimane, in primavera i consumi possano riprendere a crescere. Prima di primavera sarà però difficile fare una corretta valutazione dei costi economici e sociali dell’ondata attualmente in corso.“
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