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17 novembre 2022

IRAN, DA PROTESTA A CONTRORIVOLUZIONE

Le proteste iraniane proseguono nonostante la repressione ed entrano in uno stato di ‘rivolta continua’ e totale contro un regime che ha fallito sotto tutti gli aspetti.

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È di 15 morti tra cui un bambino di nove anni, il bilancio di incidenti separati avvenuti la notte scorsa in varie città dell’Iran tra manifestanti e forze dell’ordine. Nell'anniversario della rivolta del 2019, il paese ha vissuto una delle notti di proteste più serie e diffuse delle ultime nove settimane. Da quando cioè l’uccisione di una giovane cittadina curda Mahsa Amini, morta mentre era in custodia della polizia religiosa poiché non avrebbe indossato correttamente il velo, ha innescato una rivolta che prosegue – nonostante una brutale repressione – da oltre due mesi. Le agenzie di stampa statali hanno accusato “terroristi a bordo di due motociclette” dell'uccisione di sette persone in un centro commerciale nella città meridionale di Izeh Khuzesta. Tuttavia, i manifestanti hanno riferito che i membri delle milizie Basij avrebbero fatto irruzione nel centro, uccidendo tra gli altri un bambino di nove anni seduto in macchina con suo padre. Altri morti si sarebbero registrati a Isfahan e in altre città del paese. Finora, secondo la ong Iran Human Rights 42 minori sarebbero rimasti uccisi negli scontri e centinaia di altri sono detenuti in relazione alle manifestazioni. Alla repressione per le strade si affianca una propaganda martellante delle autorità per cui gli omicidi sarebbero un segno che le proteste si stanno trasformando in un’insurrezione armata volta alla “sirianizzazione” dell’Iran e al sovvertimento dell’ordine pubblico. In modo molto esplicito – come già accaduto in passato – il governo di Teheran accusa agitatori ‘esterni’ di aver organizzato le proteste. Gli iraniani però hanno smesso da tempo di informarsi attraverso quelle che considerano fonti ufficiali del tutto screditate, e si affidano invece ai social media interni o alle news dei canali satellitari in lingua farsi.

Dalla repressione alle esecuzioni?

Intanto la magistratura ha già emesso le prime condanne a morte per le proteste che attraversano il paese. La pena capitale è stata ordinata per manifestanti non meglio identificati e di cui non sono state diffuse le generalità, che avrebbero dato fuoco a un edificio governativo. La decisione dei giudici fa seguito al voto di 227 dei 290 legislatori iraniani all'inizio del mese di novembre per l'applicazione della pena di morte per gravi crimini contro lo stato e alle ripetute richieste di alcuni funzionari di adottare una linea più dura contro i disordini. I gruppi di difensori dei diritti umani nel paese avvertono che dalla magistratura potrebbe partire un'ondata di ordini di esecuzioni, utilizzate come strumento per porre fine a quasi due mesi di dissenso. È evidente, infatti, che il regime iraniano si trova in difficoltà: mai prima d’ora le ondate di proteste a carattere ciclico contro il sistema si erano prolungate per tanto tempo, acquistando forza col passare dei giorni anziché perderla. In questa situazione, ai vertici iraniani che rifiutano di mettere in discussione le fondamenta stesse dello stato sorto dalla rivoluzione del 1979, non resta che la repressione.

   

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Un regime fallito?

Dalle piazze e dalle strade, le proteste si sono progressivamente infiltrate nelle università, nei licei e nelle fabbriche, teatro di diversi scioperi nelle ultime settimane. A oltre nove settimane dalla prima scintilla, il movimento è entrato in una nuova fase, trasformandosi nella principale sfida alla teocrazia che guida il paese da 44 anni. Ma il cambiamento riguarda anche i protagonisti e gli animatori delle manifestazioni: se la rivolta era stata lanciata da giovani donne, poi affiancate dagli uomini, a cui successivamente si erano uniti gli studenti e le studentesse delle università e delle scuole superiori, ora sembrano essere soprattutto gli uomini a prendere il centro della scena, esponendosi agli abusi del regime e talvolta alla morte, gridando: "Morte al dittatore”. “La rivolta si è trasformata in un'insubordinazione totale e costante, a giorno e notte, contro il dominio teocratico. Questa mutazione, inizialmente timida, è ormai un fatto incontrovertibile”, osserva il sociologo Farhad Khosrokhavar, secondo cui la società iraniana non vuole più saperne della Repubblica Islamica: “Questo sistema ha fallito ovunque: nell’ecologia, in termini di sviluppo del paese, nel suo rifiuto della dignità femminile e maschile, nell’incapacità di stabilire un rapporto pacifico con il resto del mondo, e in termini di giustizia sociale (perché i ricchi del regime hanno monopolizzato i beni sociali). È diventato lo stato della repressione generalizzata, che non esita ad uccidere i suoi cittadini”.

Uno scenario non più impossibile?

Anche fuori dall’Iran, le proteste sono oggetto dell’attenzione di molti. “Qualcosa è cambiato in Iran”, ha detto ieri da Bali, dove si trovava per il G20, il presidente francese Emmanuel Macron. “Questa è una rivoluzione delle donne, dei giovani iraniani, che difendono valori universali come l'uguaglianza di genere. È importante elogiare il coraggio e la legittimità di questa lotta”. Il presidente francese ha incontrato nelle ultime settimane diversi esponenti della dissidenza iraniana, sollevando le critiche di Teheran che ha accusato Parigi di tramare per la destabilizzazione del paese. Un deterioramento che appare inevitabile, considerato che Parigi si appresta a votare per censurare l'Iran in una riunione del consiglio dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica (AIEA) a Vienna questa settimana. La mozione condanna l'Iran per la sua incapacità di cooperare con gli ispettori nucleari delle Nazioni Unite sul suo programma nucleare, affermando che le scorte di uranio dell'Iran sono ora 18 volte superiori al limite fissato dall'accordo nucleare iniziale del 2015 e il paese si starebbe avvicinano a grandi passi alla “soglia nucleare”. Se la mozione sarà approvata l’Iran ha minacciato di annullare qualsiasi visita futura. L’impasse è alle porte: le proteste e le prove che l'Iran ha fornito alla Russia droni kamikaze per bombardare l'Ucraina hanno di fatto privato i sostenitori dell'accordo sul nucleare di ogni argomento. Ma c’è di più: in Occidente si fa strada la volontà di rivalutare la strategia nei confronti di Teheran, considerando una caduta del regime – o almeno una sua profonda modifica – uno scenario non più impossibile.

IL COMMENTO

di Sara Bazoobandi, ISPI Associate Research Fellow

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“Sia le proteste che la repressione del governo si sono intensificate nelle ultime settimane. L'ottusità politica del regime si scontra con la richiesta popolare di un completo cambio di sistema politico. C'è sempre meno paura per le repressioni tra i civili, mobilitati al contrario dalla brutalità delle forze di sicurezza, in particolare nelle città più piccole e nelle aree in cui si trovano minoranze etniche. Finora nessuna delle due parti ha mostrato segno di cedimento, sebbene all'interno del sistema stiano comparendo le prime crepe: alcuni ex alti funzionari, come l'ex presidente Khatami e l'ex capo del parlamento Ali Larijani, insieme ad alcuni ecclesiastici sciiti come Hojjatol Eslam Fazel Meybodi, hanno criticato la testardaggine del governo e chiesto l’apertura di un dialogo nazionale. Allo stesso tempo, la pressione per evitare un fallimento dei colloqui sul nucleare è in aumento e anche se non è facile, tutto ciò potrebbe portare ad alcuni cambiamenti fondamentali nel sistema politico del paese. La solidarietà della comunità internazionale e il sostegno dei leader del mondo democratico sono cruciali in questo percorso”.

ISPI - Istituto per gli Studi di Politica Internazionale

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