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IRAN, DA PROTESTA A CONTRORIVOLUZIONE
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Le proteste iraniane proseguono
nonostante la repressione ed entrano in uno stato di ‘rivolta continua’ e
totale contro un regime che ha fallito sotto tutti gli aspetti.
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È di 15 morti tra cui un bambino di
nove anni, il bilancio di incidenti separati avvenuti la notte scorsa in varie
città dell’Iran tra manifestanti e forze dell’ordine. Nell'anniversario della rivolta del 2019, il paese ha vissuto una delle notti di proteste più
serie e diffuse delle ultime nove settimane. Da
quando cioè l’uccisione di una giovane cittadina curda Mahsa Amini, morta mentre era in custodia della polizia religiosa
poiché non avrebbe indossato
correttamente il velo, ha innescato una rivolta che prosegue – nonostante
una brutale repressione – da oltre due
mesi. Le agenzie di stampa
statali hanno accusato “terroristi a bordo
di due motociclette”
dell'uccisione di sette persone in un centro commerciale nella città meridionale di Izeh Khuzesta. Tuttavia, i
manifestanti hanno riferito che i membri delle milizie Basij avrebbero fatto irruzione nel centro,
uccidendo tra gli altri un bambino di
nove anni seduto in macchina con suo padre. Altri
morti si sarebbero registrati a Isfahan e in altre città del paese. Finora, secondo la ong
Iran Human Rights 42
minori sarebbero rimasti uccisi negli scontri e centinaia di altri sono
detenuti in relazione alle manifestazioni. Alla repressione per le strade si
affianca una propaganda martellante
delle autorità per cui gli omicidi sarebbero un segno che le proteste si
stanno trasformando in un’insurrezione armata volta alla “sirianizzazione” dell’Iran e al sovvertimento dell’ordine
pubblico. In modo molto esplicito – come già accaduto in passato – il governo
di Teheran accusa agitatori ‘esterni’ di aver organizzato le proteste. Gli
iraniani però hanno smesso da tempo di informarsi attraverso quelle che
considerano fonti ufficiali del tutto
screditate, e si affidano invece ai social media interni o alle news dei
canali satellitari in lingua farsi.
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Dalla repressione alle esecuzioni?
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Intanto la magistratura ha già emesso le prime condanne a morte per le
proteste che attraversano il paese. La pena capitale è stata ordinata per
manifestanti non meglio identificati e di cui non sono state diffuse le
generalità, che avrebbero dato fuoco a un edificio governativo. La decisione
dei giudici fa seguito al voto di 227
dei 290 legislatori iraniani all'inizio del mese di novembre per
l'applicazione della pena di morte per gravi
crimini contro lo stato e alle ripetute richieste di alcuni funzionari di
adottare una linea più dura contro i disordini. I gruppi di difensori dei
diritti umani nel paese avvertono che dalla magistratura potrebbe partire un'ondata di ordini di esecuzioni, utilizzate come strumento per porre fine a quasi due mesi
di dissenso. È evidente, infatti, che il regime iraniano si trova in difficoltà:
mai prima d’ora le ondate di proteste a carattere ciclico contro il sistema si erano prolungate per tanto tempo,
acquistando forza col passare dei giorni anziché perderla. In questa
situazione, ai vertici iraniani che rifiutano
di mettere in discussione le fondamenta stesse dello stato sorto dalla
rivoluzione del 1979, non resta che la repressione.
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Dalle piazze e dalle strade, le
proteste si sono progressivamente infiltrate
nelle università, nei licei e nelle fabbriche, teatro di diversi scioperi
nelle ultime settimane. A oltre nove settimane dalla prima scintilla, il movimento è entrato in una nuova fase, trasformandosi nella principale sfida alla teocrazia che guida il paese da 44 anni. Ma il cambiamento riguarda anche i protagonisti e gli
animatori delle manifestazioni: se la rivolta era stata lanciata da giovani
donne, poi affiancate dagli uomini, a cui successivamente si erano uniti gli
studenti e le studentesse delle università e delle scuole superiori, ora sembrano
essere soprattutto gli uomini a
prendere il centro della scena, esponendosi agli abusi del regime e talvolta
alla morte, gridando: "Morte al dittatore”. “La rivolta si è trasformata
in un'insubordinazione totale e costante,
a giorno e notte, contro il dominio teocratico. Questa mutazione, inizialmente timida,
è ormai un fatto incontrovertibile”,
osserva il sociologo Farhad Khosrokhavar, secondo cui la società iraniana non vuole più saperne
della Repubblica Islamica: “Questo sistema ha fallito ovunque: nell’ecologia,
in termini di sviluppo del paese, nel suo rifiuto della dignità femminile e
maschile, nell’incapacità di stabilire un rapporto pacifico con il resto del
mondo, e in termini di giustizia sociale (perché i ricchi del regime hanno
monopolizzato i beni sociali). È diventato lo
stato della repressione generalizzata, che non esita ad uccidere i suoi cittadini”.
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Uno scenario non più impossibile?
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Anche fuori dall’Iran, le proteste sono
oggetto dell’attenzione di molti. “Qualcosa è cambiato in Iran”, ha detto ieri
da Bali, dove si trovava per il G20, il presidente francese Emmanuel Macron. “Questa
è una rivoluzione delle donne, dei giovani iraniani, che difendono valori
universali come l'uguaglianza di genere. È importante elogiare il coraggio e la
legittimità di questa lotta”. Il presidente francese ha incontrato nelle ultime
settimane diversi esponenti della dissidenza iraniana, sollevando le critiche di Teheran che ha accusato Parigi
di tramare per la destabilizzazione del
paese. Un deterioramento che appare inevitabile, considerato che Parigi si
appresta a votare per censurare l'Iran in una riunione del consiglio
dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica (AIEA) a Vienna questa
settimana. La mozione condanna l'Iran per la sua incapacità di cooperare con
gli ispettori nucleari delle Nazioni Unite sul suo programma nucleare,
affermando che le scorte di uranio dell'Iran sono ora 18 volte superiori al
limite fissato dall'accordo nucleare iniziale del 2015 e il paese si starebbe
avvicinano a grandi passi alla “soglia
nucleare”. Se la mozione sarà approvata l’Iran ha minacciato di annullare
qualsiasi visita futura. L’impasse è alle porte: le proteste e le prove che
l'Iran ha fornito alla Russia droni kamikaze per bombardare l'Ucraina hanno di fatto privato i sostenitori dell'accordo sul nucleare
di ogni argomento. Ma c’è di più: in Occidente si fa strada la volontà di rivalutare la strategia nei confronti di
Teheran, considerando una caduta del regime – o almeno una sua profonda
modifica – uno scenario non più impossibile.
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IL COMMENTO di Sara Bazoobandi, ISPI Associate
Research Fellow
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“Sia le proteste che la repressione del
governo si sono intensificate nelle ultime settimane. L'ottusità politica del
regime si scontra con la richiesta popolare di un completo cambio di sistema
politico. C'è sempre meno paura per le repressioni tra i civili, mobilitati al
contrario dalla brutalità delle forze di sicurezza, in particolare nelle città
più piccole e nelle aree in cui si trovano minoranze etniche. Finora nessuna delle
due parti ha mostrato segno di cedimento, sebbene all'interno del sistema stiano
comparendo le prime crepe: alcuni ex alti funzionari, come l'ex presidente
Khatami e l'ex capo del parlamento Ali Larijani, insieme ad alcuni
ecclesiastici sciiti come Hojjatol Eslam Fazel Meybodi, hanno criticato la
testardaggine del governo e chiesto l’apertura di un dialogo nazionale. Allo
stesso tempo, la pressione per evitare un fallimento dei colloqui sul nucleare
è in aumento e anche se non è facile, tutto ciò potrebbe portare ad alcuni
cambiamenti fondamentali nel sistema politico del paese. La solidarietà della
comunità internazionale e il sostegno dei leader del mondo democratico sono
cruciali in questo percorso”.
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