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13 ottobre 2022

ERDOGAN, PUTIN, E LA MEDIAZIONE CHE NON LO ERA

Erdogan incontra Putin ad Astana: “Hub del gas in Turchia per stabilirne il prezzo”, ma non parlano di risoluzione del conflitto.

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Nel loro colloquio ad Astana, i presidenti russo Vladimir Putin e quello turco Recep Tayyip Erdogan “non hanno affrontato il tema di un accordo tra Russia e Ucraina”: il portavoce del Cremlino Dimitri Peskov gela le aspettative che si erano create sull’incontro tra i due leader. Il faccia a faccia – a margine della Conferenza sulle misure di interazione e fiducia in Asia (CICA) – era stato presentato dallo stesso Erdogan come un tentativo per riavviare un dialogo che “fermi il bagno di sangue” in Ucraina e per ottenere un cessate-il-fuoco. Non è stato così, almeno secondo le prime informazioni provenienti da Mosca. Nel corso del colloquio, riferisce Ria Novosti, Erdogan ha difeso i legami economici della Turchia con Mosca e promesso che “proseguirà l’esportazione di cereali ucraini”. Ankara inoltre si sarebbe detta interessata alla proposta di Mosca di creare in Turchia il più grande hub del gas in Europa: “La Turchia si è rivelata la via più affidabile per il gas naturale verso l’Europa – avrebbe detto Putin – pertanto il suo approvvigionamento dalla Russia è completamente garantito”. La proposta risponde all’esigenza di reindirizzare le forniture dai gasdotti Nord Stream, danneggiati dai sabotaggi di alcune settimane fa, per cui il leader del Cremlino è tornato ad accusare gli Stati Uniti. Putin ha chiarito inoltre che l'hub sarebbe una piattaforma non solo per le forniture, ma anche per determinare i prezzi del gas. “Oggi, questi prezzi sono alle stelle” ha detto. “Potremmo facilmente regolarli a un livello di mercato normale, senza ingerenze politiche”.

Un voto contro Mosca?

L’incontro tra i due capi di stato arriva all'indomani di un voto importante all’Assemblea Generale dell’Onu che ha approvato con una maggioranza di tre quarti (143 paesi favorevoli su 193) la risoluzione che condanna il tentativo di Mosca di annettere quattro regioni del sud-est ucraino, tramite referendum definiti “illegali” in base al diritto internazionale. La votazione – un vero e proprio test sull’isolamento di Mosca – ha avuto un esito rilevante. Se a dirsi contrari sono stati, oltre alla Russia, solo quattro paesi (Bielorussia, Corea del Nord, Siria e Nicaragua) è pur vero che gli astenuti – come già accaduto nel marzo scorso – sono 35. E tra loro spiccano Cina, India, Pakistan, Sudafrica ed Etiopia. Segno che i lunghi mesi di conflitto non hanno scalfito il fronte di coloro che non intendono schierarsi. Il colpo più duro per il Cremlino è che tra gli astenuti figurino le ex Repubbliche centrasiatiche (Kazakhstan, Uzbekistan, Tajikistan, Kirghizistan, Turkmenistan), mentre la Serbia, principale alleato russo in Europa, si è unita al voto di condanna. E se a marzo i paesi che avevano votato per condannare l'invasione erano stati 141, ieri contro i referendum di annessione si sono aggiunti anche Bangladesh, Iraq e Marocco mentre Gibuti, che ospita l’unica base militare cinese in Africa e che a marzo aveva votato favorevolmente, ieri ha scelto di non esprimersi. Il voto dell'Assemblea Generale – che non ha conseguenze vincolanti – è stato convocato dopo che Mosca aveva opposto il suo veto a una risoluzione presentata al Consiglio di Sicurezza. Il gesto ha rinnovato le invocazioni di quanti chiedono di spogliare il paese del suo potere di veto dopo l'invasione dell'Ucraina.


   

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Nazioni disunite?

Nello spiegare l’astensione del suo paese, il vice ambasciatore cinese all’Onu, Geng Shuang, ha detto che il voto di mercoledì non serve a promuovere la “de-escalation” del conflitto in corso e aumenta solamente la divisione tra i paesi. “La Cina sarà sempre dalla parte della pace”, ha detto il funzionario cinese, “ma ogni azione promossa da quest’Assemblea dovrebbe essere finalizzata a promuovere una soluzione politica alla crisi”. Gli ha risposto l’ambasciatrice statunitense, Linda Thomas-Greenfield, secondo cui “la pace non viene e non è mai arrivata dal silenzio”. La Russia “ha fallito sul campo di battaglia e ha fallito all'Onu”, ha affermato l'ambasciatrice del Regno Unito Barbara Woodward. Se l’approvazione della risoluzione di eri era pressoché certa, non tutti si aspettavano un così alto numero di voti favorevoli. Nei giorni scorsi si era temuto che molti paesi, soprattutto in Asia e Africa, potessero astenersi o perfino votare contro, in segno di protesta contro un conflitto considerato tutto sommato “regionale” ma i cui contraccolpi sono ben visibili in tutto il mondo, a partire dall’aumento dei prezzi dell’energia e del rischio di una grave crisi alimentare. A questo proposito l'ambasciatore della Repubblica Democratica del Congo all’Onu Georges Nzongola-Ntalaja ha deplorato i “doppi standard” dell'Occidente. “Sosteniamo l'Ucraina – ha detto – e vogliamo vedere la fine della guerra. Ma vorremmo che la comunità internazionale intraprendesse azioni simili contro altre situazioni nel mondo in cui i paesi vengono invasi e occupati”.

Un mediatore affidabile… per chi?

L’incontro tra Putin e Erdogan è stato il quarto negli ultimi quatto mesi. I due leader si erano incontrati a luglio a Teheran, ad agosto nella località russa di Sochi e a settembre a Samarcanda, in Uzbekistan. Dall'inizio della guerra in Ucraina, inoltre, il filo diretto tra Ankara e Mosca non si è mai spezzato, con Erdogan che ha cercato di svolgere un ruolo di mediazione tra gli attori in campo, sempre sul filo del rasoio: sostenendo diplomaticamente Kiev ma senza aderire alle sanzioni contro la Russia. Forte del suo rapporto personale con Vladimir Putin – con cui condivide una visione pragmatica quanto spregiudicata delle relazioni internazionali – e della sua presenza nella Nato, il presidente turco gioca sempre per fare i suoi stessi interessifa notare l’Economist – ma era uno dei pochi mediatori che aveva portato dei risultati. Almeno era così fino ad ora. Ma, come ha ricordato lo stesso Putin, dall’inizio della guerra ad oggi Ankara è stata per Mosca “un partner affidabile”. Che proprio a lui l’Occidente possa affidare il ruolo di mediatore nella partita con il Cremlino è un’ipotesi su cui bisognerebbe riflettere. 

   

IL COMMENTO

Di Eleonora Tafuro Ambrosetti, ISPI research fellow

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“Con l'idea di trasformare la Turchia nel maggiore hub di gas del mondo, Putin non sta solo tentando Erdogan con benefici economici: in un contesto energeticamente sempre più complicato per l'UE, essere un hub di gas vuol dire anche avere una enorme influenza nei confronti di Bruxelles. E la Turchia sembra sensibile a queste offerte. Il suo ruolo in questa guerra continua ad essere estremamente pragmatico e conferma l'immagine ormai consolidata della Turchia come ponte e principale mediatore tra Mosca e l'Ucraina (e l'Occidente). Ci sono sempre più persone che mettono in dubbio la sostenibilità di questa politica turca. Ma, a meno che non ci sia un evento straordinario (come l'uso di armi nucleari) che costringerebbe Ankara a adottare una posizione molto più netta, al momento né gli USA né l'UE hanno per ora strumenti di pressione politica tali da modificare il corso della politica estera turca”.

ISPI - Istituto per gli Studi di Politica Internazionale

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