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13 settembre 2022

ESCALATION PERICOLOSA

Scontri a fuoco tra Armenia e Azerbaigian: l’accordo per un cessate-il-fuoco scongiura il rischio di un nuovo, pericolosissimo fronte di guerra.

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È stato raggiunto un cessate-il-fuoco al confine tra Armenia e Azerbaigian, teatro nella notte di scontri a fuoco con artiglieria e droni. “Dopo le misure di risposta adottate dalle forze armate azere, le parti hanno concordato una tregua dalle 09:00 ora locale (08:00 ora di Mosca). Allo stesso tempo, la parte armena ha violato questo accordo, ma dalle 09:15 (08:15 ora di Mosca) è stato installato il cessate il fuoco”, recita una nota della Tass. Opposta la versione dell’Azerbaigian che accusa Yerevan di aver spostato armi e truppe nella zona di confine allo scopo di “provocare” e di voler interrompere il processo di pace. La notte scorsa il ministero della Difesa armeno aveva riferito di attacchi contro diverse citta armene vicino alla frontiera comune. Negli scontri, 49 soldati sarebbero rimasti uccisi, ha denunciato Yerevan che ha sollecitato l'intervento russo in base al Trattato di amicizia cooperazione e mutua assistenza (Csto) tra i due paesi. Le due ex repubbliche sono alle prese con un’annosa disputa per il controllo del Nagorno-Karabakh, su cui hanno già combattuto due sanguinose guerre in passato, di cui la seconda nel 2020. Bisognerà aspettare le prossime ore per valutare la solidità della tregua raggiunta su un confine caldo, che periodicamente si riaccende rischiando di trasformare un conflitto locale in una guerra regionale.

Nagorno-Karabakh: guerra infinita?

Le tensioni mai sopite lungo la frontiera tra Armenia e Azerbaigian avevano cominciato a riaccendersi la scorsa settimana, quando Yerevan aveva accusato Baku dell’uccisione di uno dei suoi soldati. Al centro della disputa tra i due paesi c'è la regione del Nagorno-Karabakh, parte dell'Azerbaigian secondo confini internazionalmente riconosciuti, ma popolata perlopiù da armeni. Un divario che si estende oltre che alla politica anche alla cultura e alla religione: l'Armenia è un paese a maggioranza cristiano ortodosso, mentre l'Azerbaigian è prevalentemente musulmano. Negli anni Novanta e nel 2020 Yerevan e Baku hanno combattuto due guerre per il controllo del Nagorno-Karabakh. L'enclave abitata in larghissima maggioranza da armeni, ma parte del territorio dell'Azerbaigian, nel 1994 ha proclamato la propria indipendenza col nome di Repubblica dell’Artsakh, ma non è mai stata riconosciuta a livello internazionale, nemmeno dalla stessa Armenia. Il conflitto che ne è seguito ha causato circa 30 mila vittime. Le sei settimane di combattimenti nell'autunno 2020, invece, hanno fatto oltre 6.500 morti e si sono concluse con un cessate-il-fuoco mediato dalla Russia. In base all'accordo, l'Armenia ha ceduto parti di territorio che controllava da decenni e Mosca ha schierato circa 2 mila peacekeeper per monitorare la tregua.   

   
   

Russia-Turchia: su fronti opposti?

Si ritiene che i combattimenti di lunedì notte siano i peggiori dal conflitto del 2020. A poche ore dall’inizio delle operazioni, l'Armenia ha invitato Mosca ad attuare il trattato di difesa del 1997 (Csto) che prevede che i paesi membri difenderanno l'integrità territoriale e la sovranità dell'altro in caso di attacco da parte di un paese straniero. La richiesta è arrivata dopo una seduta del Consiglio di sicurezza armeno e una telefonata tra il primo ministro armeno Nikol Pashinyan e il presidente russo Vladimir Putin. La Russia, storicamente vicina all'Armenia ma che in questo momento è in evidente difficoltà sul fronte ucraino, ha guadagnato tempo affermando che la disputa in corso “dovrebbe essere risolta esclusivamente con mezzi politici e diplomatici” e ha esortato entrambe le parti a “esercitare moderazione”. Il rischio è che se Putin prendesse le difese dello storico alleato, la Turchia farebbe lo stesso, appoggiando Baku. “L’Armenia dovrebbe cessare le sue provocazioni – ha affermato Il ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu – e concentrarsi sui negoziati di pace”.

Un nuovo fronte?

Fin qui, i fatti. Sulla cui interpretazione molti sembrano concordare: l’Azerbaigian potrebbe aver cercato di cogliere un’opportunità mentre l’alleato chiave dell'Armenia, la Russia, è distratta dalla travagliata campagna in Ucraina. Nelle ore in cui ieri si è diffusa la notizia che Yerevan aveva cercato il sostegno di Mosca, si è ipotizzato che la Russia potesse improvvisamente trovarsi coinvolta su un altro fronte oltre a quello ucraino. È un fatto, osserva Laurence Broers su Twitter, che questa escalation si verifichi mentre il Cremlino è “alle prese con il crollo del fronte di Kharkiv, e l’azione offensiva contro Yerevan può avvalersi dell’ondata di avversione globale contro la Russia di cui l'Armenia è formalmente alleata”. Nel mentre, Baku gode di una posizione di forza senza precedenti: la Russia fa affidamento sulle rotte di transito attraverso il paese per connettersi con l'Iran e l'Asia e sfuggire al crescente isolamento, mentre anche l’Europa – alla ricerca di nuovi partner energetici e alternative al gas russo – è diventata molto dipendente dall’Azerbaigian.

   

IL COMMENTO

Di Aldo Ferrari, ISPI Head, Russia, Caucaso e Asia Centrale

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“Se quella che il Cremlino definisce ‘operazione militare speciale’ in Ucraina fosse stata gestita meglio e con successo dalle truppe russe ora forse non ci troveremmo ad osservare il riaccendersi di un conflitto potenzialmente destabilizzate per tutto il Caucaso centrale. Invece, l’evidente difficoltà dei russi sul fronte nord-occidentale dell’Ucraina ha finito col minare il ruolo egemonico della Russia nel Caucaso meridionale: Mosca, con ogni probabilità, non potrà intervenire in difesa dell’Armenia e l’Azerbaijan ha colto l’attimo. Se vuol essere coerente con i propri principi, la Comunità internazionale dovrà impegnarsi a tutelare l’Armenia, condannando l’intervento di Baku nonostante il suo ruolo di importante fornitore di gas”.

ISPI - Istituto per gli Studi di Politica Internazionale

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