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5 settembre 2022

IL CILE E IL NO ALLA NUOVA COSTITUZIONE

I cileni bocciano la nuova Costituzione. Duro colpo per Boric, ma la disfatta della Carta ‘più progressista del mondo’ non frena la richiesta di cambiamento.

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È una bocciatura senza appello quella consegnata dall’elettorato cileno chiamato ad esprimersi sulla nuova Costituzione. Oltre il 60% dei votanti, infatti, ha detto ‘no’ alla Carta fondamentale di cui Gabriel Boric, 36enne presidente di sinistra, era stato tra i principali promotori. Un risultato sorprendente, considerato che nel 2020 quasi l’80% dei partecipanti ad un precedente referendum aveva approvato il progetto di riforma costituzionale. “Prendo questo messaggio e lo faccio mio, dobbiamo ascoltare la voce della gente”, ha detto Boric riconoscendo la sconfitta e convocando un incontro con le massime autorità del Parlamento e tutte le forze politiche “per far partire il più rapidamente possibile un nuovo processo costituente”. Il processo per l’introduzione di una nuova Costituzione, che sostituisse quella approvata nel 1980 e riformata nel 1989 nel pieno della dittatura militare di Augusto Pinochet, era iniziato tre anni fa dopo una stagione di proteste di piazza e sconvolgimenti sociali, in un paese solitamente considerato come un’oasi di stabilità nella regione. Una mobilitazione alimentata da profonde spaccature sociali e generazionali, contro le politiche iperliberiste dell’allora governo Pinera ma sfociata in una più vasta richiesta di riforme strutturali, che aveva costretto le forze politiche a sottoscrivere l’Acuerdo por la paz y una nueva Constitución approvato per legge nel dicembre 2019.


Una costituzione divisiva?

Il testo della nuova Costituzione, redatto da un’Assemblea costituente i cui membri erano stati scelti dagli elettori, è stato inteso “troppo radicale” da molti. Tra le novità principali, la nuova Carta avrebbe dichiarato il Cile uno stato “plurinazionale”, riconoscendo i diritti delle popolazioni indigene cilene – che costituiscono circa il 13% della popolazione – alle loro terre e risorse. Alle comunità indigene inoltre sarebbero stati riservati per la prima volta 17 seggi su 155 in Parlamento mentre la bozza, ora respinta, avrebbe modificato molte istituzioni come il Senato, trasformandolo in una Camera delle Regioni. Il nuovo testo avrebbe significato molto per i diritti femminili, introducendo il diritto all'aborto e la richiesta, contenuta nell’articolo 6, che le donne ricoprissero per legge almeno il 50% delle posizioni nelle istituzioni, così come nelle dirigenze delle imprese pubbliche e semi-pubbliche. La bocciatura infierisce un duro colpo anche alle aspettative degli ambientalisti, che l’avevano salutata coma ‘la prima Costituzione ecologista al mondo’ poiché al suo interno conteneva norme finalizzate a preservare l’ambiente dall’estrazione selvaggia di rame e litio, proteggendo le riserve di acqua dolce (il cui accesso sarebbe garantito come ‘diritto fondamentale’), difendendo i ghiacciai e tutelando interessi e salute degli indigeni. 

 

   

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O troppo progressista?

Se sull’esito del referendum, scrivono gli osservatori, hanno pesato le campagne di disinformazione alimentate dalla destra e le fake news rilanciate dai social media e dalla stampa, anche gli interessi delle compagnie private hanno svolto un ruolo. Come sottolinea il Financial Times, l’estrazione del litio — componente essenziale delle batterie e dunque della transizione energetica dai combustibili fossili — è stata al centro degli interessi che hanno remato contro la nuova Costituzione. Ma c’è dell’altro. Già a metà agosto, i sondaggi mostravano che l’iniziale entusiasmo degli elettori era in calo, mentre crescevano i timori che la nuova Costituzione, considerata troppo progressista, avrebbe avuto costi insostenibili e minato la coesione nazionale. Altri temevano che l'incertezza avrebbe ostacolato gli investimenti nel settore minerario e di altre risorse naturali. A tutto questo si è aggiunta la complessità di un documento composto da 388 articoli, 57 disposizioni transitorie e 178 pagine, che va dai diritti fondamentali dei popoli indigeni alle disposizioni sul dovere dello stato di “promuovere il patrimonio culinario e gastronomico del Paese”. 

Schiaffo a Boric?

Oltre a queste e ad altre preoccupazioni specifiche, la bocciatura della nuova Costituzione rappresenta un colpo all’immagine del presidente Boric, la cui elezione a dicembre scorso rientrava nella stessa ondata di cambiamento che aveva portato alla riforma della Costituzione. Durante il suo mandato, iniziato l'11 marzo, i tassi di inflazione e omicidi in Cile hanno continuato a salire e il suo indice di gradimento nel paese è calato. Le preoccupazioni legate al carovita e all’aumento dei generi di prima necessità hanno occupato le prime pagine dei giornali e concentrato le attenzioni dei cileni. Ma il motivo principale dell’esito referendario – secondo El Pais – va ricercato nei contenuti del testo. Le modifiche proposte nella nuova Carta fondamentale hanno cercato di trasformare uno dei paesi più conservatori dell'America Latina in una delle società più progressiste del mondo. Troppo, evidentemente, per i cileni. In nessuna delle regioni del paese i ‘si’ alla nuova legge fondamentale hanno superato i ‘no’ e persino nelle aree abitate in prevalenza da indios, i cui diritti venivano per la prima volta riconosciuti e tutelati ma le cui comunità sono molto conservatrici, ha prevalso il voto favorevole. Che lezione trarne allora? “I cileni vogliono ancora il cambiamento – spiega un sostenitore del no ad Associated Press – ma hanno bocciato una Costituzione in cui non si sono riconosciuti”. 

   

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